Educare il bambino a rispettare le regole
A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
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VAI AI PREFERITILe regole sono difficili da capire per un bambino, perché dal suo punto di vista possono apparire bizzarre e incoerenti: vedono gli adulti fare ciò che a lui non è permesso, e sono spesso fondate su ragioni che non è ancora in grado di capire. In effetti, le regole sono differenti per ogni società e ogni contesto, e un bambino non è ancora in grado di contestualizzare né ha fatto suoi i valori e i modi della società in cui vive.
Certo, attraverso premi e punizioni il comportamento di un bambino si può modellare, imponendo le regole per semplice principio di autorità; ma è proprio questo che vogliamo che sia il modo in cui lo educhiamo? Certamente noi vogliamo che il bambino faccia certe cose e si astenga dal farne altre; e se ci si ferma al “cosa” vogliamo che faccia, anche gli approcci direttivi possono funzionare. Ma se ci soffermiamo sul “perché” vogliamo che nostro figlio si comporti in un certo modo, ecco che non ci è più sufficiente che “ascolti i genitori” soltanto perché sono adulti e lui è un bambino.
L’obiettivo che si prefigge una vera educazione è quello di fare in modo che il bambino faccia sue le regole, costruendole assieme all’adulto in un modo condiviso. Questo può avvenire solo se noi adulti per primi compiamo un lavoro di riflessione sulle regole e sul rispetto dei bisogni e sentimenti di tutti, che è la necessità da cui le regole scaturiscono e per cui vengono create.
Lo strumento educativo più efficace che abbiamo per insegnare al bambino questo rispetto dei limiti e dei bisogni anche degli altri è l’esempio, il che richiede anche a noi adulti una riflessione su quanto siamo coerenti e rispettiamo le regole, e anche un lavoro di messa in discussione di alcune di esse, definendo quali sono quelle che possono essere modificate, alla luce anche delle esigenze del momento, e quali invece sono una colonna portante del nostro sistema di vita e della nostra visone morale, e dalle quali non si può in nessun caso derogare. Su queste, l’intervento dell’adulto sarà immediato e fermo. Ad esempio, “non si usa la violenza” può significare, per il genitore, intervenire immediatamente e allontanare anche di peso il bambino che sta colpendo un animale o un altro bambino: con garbo ma con fermezza. Ma la regola che si cena alle otto può essere invece discussa insieme, se una soluzione diversa va ragionevolmente incontro in modo migliore ai bisogni di tutti, compresi quelli dei bambini. In questo modo il bambino diviene parte attiva nella creazione e nel mantenimento delle regole, piuttosto che subirle passivamente.
Certo, dire “è così e basta perché lo dico io” è molto più facile e immediato, ma non può che portare a due risultati: il bambino ribelle (che non ascolta, che fa il contrario per dimostrare la sua indipendenza) o l’ubbidiente (che fa una cosa solamente perché gli è stato detto da chi ha più autorità di lui). Vogliamo davvero che il comportamento futuro di nostro figlio, anche da adulto, sia dettato da ciò che viene detto da chi esercita su di lui il potere più forte? O all’opposto, che agisca in un certo modo solo per dimostrare di essere libero da costrizioni?
Lavorare sull’educazione e sulla costruzione di regole condivise è un percorso più faticoso e lento, ma porta a risultati più stabili e solidi, perché costruisce un sistema interiore di riferimento morale nel bambino, rendendolo capace di valutare con giudizio le regole, comprenderne lo scopo, cioè il rispetto dei bisogni degli altri e del sistema sociale in cui si vive, e nello stesso tempo mantenere il buon senso e il giudizio critico necessario per essere un membro attivo della società, capace di attivarsi per modificare e migliorare le regole che non rispondono più alle necessità del momento in cui erano state create, promuovendo il cambiamento.