Cosa c'è dietro i capricci del bambino
A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
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VAI AI PREFERITI Spesso i bambini fanno i capricci, perché delusi dalle situazioni non piacevoli oppure per le emozioni che non riescono a gestire. Comprenderli aiuta noi e loro a vivere meglio. Fra i due e i tre anni il bambino attraversa una fase che mette alla prova i genitori, trasformandosi in una personcina intrattabile, decisa a far valere le sue ragioni a tutti i costi, e capace di spettacolari scenate quando viene contrastata. Spesso poi la nostra società ha aspettative molto alte rispetto a ciò che un bambino così piccolo deve fare, per essere definito “buono”; mamma e papà si sentono a loro volta sotto pressione, giudicati e criticati, viene detto loro di “non viziarelo”, e vengono spinti verso distruttive prove di forza, che lasciano tutti stremati e infelici.
Occorre comprendere che il bambino a questa età prova fortissime frustrazioni. È in grado di capire quante cose potrebbe fare, vorrebbe esplorare il mondo, è molto determinato e non si rassegna facilmente; ma spesso i suoi limiti fisici impediscono questa esplorazione, perché la sua abilità nel maneggiare le cose e raggiungere ciò che gli interessa è ancora incerta. E poi ci sono i limiti sociali. La sua volontà si scontra con quella dei “grandi” intorno a lui, e così la sua vita è costellata di delusioni, e la sua rabbia esplode con un’intensità pari ai suoi desideri. Ancora non ha l’abilità di controllare le sue emozioni, il disappunto, la collera ed esprimerla a parole; per questo usa l’espressione fisica.
In questi “terribili due” anni è importante vedere le cose in prospettiva e sapere che è una fase normale in un bambino, che non dura per sempre, e per molti aspetti non dipende dai genitori, i quali, in ogni caso, possono fare molte cose per affrontare questi momenti.
I bambini non hanno piacere a farci arrabbiare, ma a volte per superare la nostra frustrazione dobbiamo imparare a sintonizzarci, a “tradurre” le loro scenate nel linguaggio dei sentimenti e dei bisogni che vi sono dietro. Spesso il bambino ha solo bisogno di sentirsi connesso, avere la nostra totale attenzione per un po’. Quando è in preda al “capriccio”, non sta cercando di controllarci: sta solo dando sfogo ai suoi sentimenti di rabbia, impotenza, paura, e forse nemmeno lui sa veramente perché si sente infelice. In quei momenti sta a noi, che siamo gli adulti, mostrare a lui, che è così piccolo ma alle prese con emozioni così grandi, come può mantenere la calma e sfogarsi in modi più civili e accettabili.
Durante la crisi è inutile discutere, il bambino non sarà in grado di ascoltarci: meglio impedirgli semplicemente di farsi o fare male, e ragionare con lui in seguito, dopo che si è calmato.
Questo non significa che non si possa dire di no ai suoi capricci: al bambino vanno posti con fermezza e serenità dei limiti ragionevoli, ma si può farlo senza farne una “questione personale”, una prova di forza. Anche mentre imponiamo la nostra volontà, insomma, possiamo restare empatici, accettare la sua rabbia e consolarlo. Una mano ferma sulla schiena; una frase comprensiva (“sei arrabbiato perché stiamo uscendo e tu non volevi”) possono, anche senza bisogno che noi “cediamo”, fare la differenza, uscendo dalla logica della “guerra”, per crescere insieme.