Educare i bambini a fare i compiti
A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
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VAI AI PREFERITIQuante volte i genitori si trovano a dover sollecitare bambini riluttanti a fare i compiti a casa, o a rimproverarli perché non li hanno fatti… e anche da parte della scuola, non fare i compiti viene visto come un cattivo comportamento e spesso sanzionato.
Questa concezione dei compiti nella nostra cultura crea grossi problemi quando ci sono difficoltà, proprio a causa della confusione che si alimenta fra la funzione pratica di farli per imparare meglio qualcosa, e una presunta funzione morale, cioè che fare i compiti sia parte del “dovere” di un bambino, un fatto educativo, e chi non li fa sia in qualche modo da biasimare. Se un compito è funzionale all’apprendimento, non farlo è semplicemente controproducente al fine di apprendere; ma non ha a che fare col comportarsi bene o male. Farne una questione di “dovere” rende i compiti a casa per i bambini odiosi e li distoglie dallo scopo dello studio, che è quello di apprendere (un obiettivo desiderabile, che ogni bambino ha in sé naturalmente insieme alla curiosità di sapere), per dirottarlo su quello di far contenti gli insegnanti e i genitori, dell’essere o meno apprezzato da loro. Un obiettivo che può suscitare ribellione, quando intorno a sé il bambino ha opzioni molto più attraenti per la sua curiosità e voglia di sapere; oppure causare una grande ansia di prestazione, nel momento in cui il bambino ha una difficoltà a eseguire il compito.Legando i compiti a premi o punizioni, non si fa che rinforzare questa distorsione e far perdere di vista il vero obiettivo della scuola, che è quello di apprendere nozioni e strumenti per esplorare la realtà.
Per prima cosa, quindi, quando c’è un rifiuto a fare i compiti cerchiamo di capire dove sta la difficoltà del bambino. Non riesce ad eseguire il compito dato? Ha difficoltà di lettura, di calcolo, o semplicemente non ha capito qualcosa e ha bisogno che gli venga spiegato in modi diversi da quelli fatti a scuola? Ogni bambino è differente anche nel modo di apprendere e di assimilare le informazioni e deve trovare il suo canale comunicativo.
Oppure il compito per lui è noioso, futile, privo di senso? Occorre aiutarlo a trovare i collegamenti fra l’oggetto di studio e la sua realtà, fargli cogliere la scoperta, il gioco, l’avventura, il nesso fra la cosa studiata e ciò che lo appassiona. Apprendere è questo e non applicarsi per eseguire consegne spiacevoli e noiose.
Oggigiorno, con internet, tablet, mezzi multimediali immediatamente accessibili, il bambino trova a volte futile eseguire un compito secondo metodi rigidi e senza comprendere in che modo fare il compito possa aiutarlo nell’apprendimento: la richiesta va contestualizzata e resa interessante e fruibile secondo le potenzialità del bambino stesso.
Un buon coordinamento fra genitori e insegnanti per trovare modi personalizzati per far conseguire al bambino gli obiettivi didattici, al di là del compito da eseguire, valorizzando gli interessi e le abilità del bambino come strumenti per creare un percorso di apprendimento personalizzato, sono la strada giusta per restituire al bambino l’entusiasmo per lo studio.