Educare i bambini a fare i compiti

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Tempo di lettura 3 min

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Quante volte i genitori si trovano a dover sollecitare bambini riluttanti a fare i compiti a casa, o a rimproverarli perché non li hanno fatti… e anche da parte della scuola, non fare i compiti viene visto come un cattivo comportamento e spesso sanzionato.

Questa concezione dei compiti nella nostra cultura crea grossi problemi quando ci sono difficoltà, proprio a causa della confusione che si alimenta fra la funzione pratica di farli per imparare meglio qualcosa, e una presunta funzione morale, cioè che fare i compiti sia parte del “dovere” di un bambino, un fatto educativo, e chi non li fa sia in qualche modo da biasimare. Se un compito è funzionale all’apprendimento, non farlo è semplicemente controproducente al fine di apprendere; ma non ha a che fare col comportarsi bene o male. Farne una questione di “dovere” rende i compiti a casa per i bambini odiosi e li distoglie dallo scopo dello studio, che è quello di apprendere (un obiettivo desiderabile, che ogni bambino ha in sé naturalmente insieme alla curiosità di sapere), per dirottarlo su quello di far contenti gli insegnanti e i genitori, dell’essere o meno apprezzato da loro. Un obiettivo che può suscitare ribellione, quando intorno a sé il bambino ha opzioni molto più attraenti per la sua curiosità e voglia di sapere; oppure causare una grande ansia di prestazione, nel momento in cui il bambino ha una difficoltà a eseguire il compito.Legando i compiti a premi o punizioni, non si fa che rinforzare questa distorsione e far perdere di vista il vero obiettivo della scuola, che è quello di apprendere nozioni e strumenti per esplorare la realtà.

Per prima cosa, quindi, quando c’è un rifiuto a fare i compiti cerchiamo di capire dove sta la difficoltà del bambino. Non riesce ad eseguire il compito dato? Ha difficoltà di lettura, di calcolo, o semplicemente non ha capito qualcosa e ha bisogno che gli venga spiegato in modi diversi da quelli fatti a scuola? Ogni bambino è differente anche nel modo di apprendere e di assimilare le informazioni e deve trovare il suo canale comunicativo.

Oppure il compito per lui è noioso, futile, privo di senso? Occorre aiutarlo a trovare i collegamenti fra l’oggetto di studio e la sua realtà, fargli cogliere la scoperta, il gioco, l’avventura, il nesso fra la cosa studiata e ciò che lo appassiona. Apprendere è questo e non applicarsi per eseguire consegne spiacevoli e noiose.

Oggigiorno, con internet, tablet, mezzi multimediali immediatamente accessibili, il bambino trova a volte futile eseguire un compito secondo metodi rigidi e senza comprendere in che modo fare il compito possa aiutarlo nell’apprendimento: la richiesta va contestualizzata e resa interessante e fruibile secondo le potenzialità del bambino stesso.

Un buon coordinamento fra genitori e insegnanti per trovare modi personalizzati per far conseguire al bambino gli obiettivi didattici, al di là del compito da eseguire, valorizzando gli interessi e le abilità del bambino come strumenti per creare un percorso di apprendimento personalizzato, sono la strada giusta per restituire al bambino l’entusiasmo per lo studio.

Le indicazioni contenute in questo sito non intendono e non devono in alcun modo sostituire il rapporto diretto fra professionisti della salute e il lettore. È pertanto opportuno consultare sempre il proprio medico curante e/o specialisti.