I “capricci” dal punto di vista del bambino

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Tempo di lettura 4 min

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Sono tanti i “capricci” di un bambino: a volte si rifiuta di mettersi i calzini, proprio quando si deve uscire e si è in ritardo. Non vuole lavarsi le mani prima di andare a tavola. Non vuole salire in macchina; ma quando si è arrivati a destinazione, non vuole più scendere. Quante volte, nel secondo anno di vita, i bambini sanno come mettere a dura prova e “fanno disperare” i genitori! Quante volte sembrano fare un dramma per cose futili, di poca importanza…

Eppure, tutto è soggettivo. I bambini, spesso, si disperano o provano una grandissima frustrazione per “stupidaggini” (dal punto di vista degli adulti). Dal punto di vista del bambino però le cose hanno altre proporzioni, valori, priorità, difficoltà. Dal suo punto di vista, sono i genitori che spesso lo fanno “disperare”! 
Mettersi nei panni del bambino è per i genitori un compito impegnativo e che richiede una grande capacità di ascolto, ma è anche l’unico modo per ridurre o attenuare queste crisi a volte così violente che hanno i bambini nei loro primi anni di vita, e che sono causate per metà dall’intensità dei loro desideri (così diversi certe volte da quelli degli adulti), ma per l’altra metà dalla consapevolezza di non essere presi sul serio riguardo alle cose che per loro sono importanti.

In primo luogo va fatta una distinzione importante: quella fra azioni e sentimenti. Comprendere le rabbie, frustrazioni, dispiaceri del bambino e, ancora prima di averli compresi, accettarli, è una cosa ben distinta dall’accontentarlo o meno nelle sue richieste. Si può dire di no a una richiesta di un bambino, ma non si dovrebbe pretendere che il bambino sia anche contento e accetti senza turbamenti quello che invece per lui può costituire una grande delusione o rimpianto.

Si può legittimamente decidere cosa deve fare e gestire il proprio figlio in certe circostanze (ad esempio salire in macchina quando bisogna andare), però non è possibile né pretendere né determinare come si sentirà nel fare una cosa che non voleva fare. Il bambino, cioè, è normale che si arrabbi e ha il diritto di sentirsi come si sente. Se noi genitori accettiamo che nostro figlio a volte non sia contento delle nostre decisioni, e soprattutto riusciamo ad essere empatici con lui, questo renderà meno sgradevole il compito di imporgli ciò che è necessario: «Sei dispiaciuto di scendere, avevi tanta voglia di restare in macchina». Questo non fa cessare la contrarietà nel bambino ma lo aiuta a superare la crisi più facilmente. Può anche darsi che facendo così, e non aggiungendo alcun rimprovero o giudizio, pur imponendogli una cosa, lui si senta capito e aggiunga qualcosa che noi non sapevamo e che ha determinato la sua rabbia, come ad esempio: «Sì, perché non mi piace l’odore di quel sapone».

Insomma, per far sì che il bambino impari ad ascoltare, anche l’adulto deve mettersi in una posizione di ascolto. A volte basta un po’ più di pazienza, di empatia e di ascolto sul nascere del “capriccio”, per scoprire che il “no” del bambino non è dettato da un rifiuto assoluto rispetto alla richiesta dell’adulto, ma da un rifiuto del modo in cui l’adulto gli propone di ottemperare a tale richiesta. Ad esempio, magari il bambino non voleva mettere quei calzini; oppure voleva farlo da solo, anche se questo avrebbe richiesto più tempo… o avrebbe accettato di lavarsi le mani sia prima sia dopo mangiato… Se il compito dei genitori è limitare  e gestire i comportamenti e insegnare al bambino quali sono accettabili e quali no, dall’altro i sentimenti non si scelgono, ci sono e basta, e il ruolo dei genitori è quello di essere vicino al bambino comprendendo il motivo dei suoi scatti d’ira e confortandolo finché non riprende il controllo di sé. 

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