Bambini in casa, ma sotto controllo
A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
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VAI AI PREFERITICapita facilmente nella nostra società, così lontana dal villaggio delle nostre origini, che una mamma e il suo bambino si trovino nella condizione innaturale di essere insieme e da soli per lungo tempo all’interno di un appartamento. Quando il bimbo gattona, è richiesta una sorveglianza costante, e si pone il problema di imporre delle costrizioni alla sua libertà di movimento nei momenti in cui la sua mamma non può badare a lui perché impegnata in altre cose.
Secondo l’indole e le necessità dei bambini, che sono diversi l’uno dall’altro, ci sarà chi accetta le costrizioni di buon grado e chi invece fa sentire con forza la sua disperazione. In questo caso, è evidente che il bambino non è pronto per questo trattamento, o semplicemente che questa non è la soluzione che funziona per lui.
Si tratta fondamentalmente di un fatto pratico. Non c’è un momento giusto per cominciare ad imporre costrizioni, nel senso che imporre costrizioni non è di per sé un’azione educativa. Può avvenire che le necessità della vita costringano la famiglia a imporre dei limiti al bambino, perché il suo comportamento in quel particolare contesto non è compatibile con il benessere degli altri o con la sua sicurezza: questo fa parte dell’ordine delle cose e quindi costituisce quel naturale e progressivo impatto che il bambino sperimenta verso gli ostacoli e le limitazioni della vita.
Se mamma e bambino sono soli in casa, può insorgere la necessità di mantenere il bambino in una situazione priva di pericoli, mentre la mamma fa qualcosa che le impedirebbe di stare dietro al bimbo passo passo. Verso la fine del primo anno il bambino ha un intenso bisogno di esplorare e di muoversi: meglio offrirgli questa possibilità in una situazione protetta. Questo può essere fatto sia nella stanza in cui si lavora, sia in un’altra stanza.
Alcuni esempi:
· un box nella stanza in cui si lavora, nel quale il bambino può almeno relativamente muoversi ed esplorare, magari qualche nuovo oggetto interessante che gli viene messo nel box;
· chiudersi nella stanza con il bambino, creando un ambiente “baby-proof” (con copriprese, coprispigoli e blocchi degli sportelli), e lasciare che il bambino gattoni o cammini in questo ambiente, magari lasciando un cassetto basso semiaperto, con dentro un assortimento di oggetti non pericolosi a sua disposizione (non necessariamente giocattoli: possono anche essere banali oggetti di cucina, come i mestoli di legno o plastica, il passino per il tè, ecc);
· organizzarsi in modo che il bambino abbia una piccola “baby-sitter”, se c’è una ragazzina o ragazzino (anche un bambino figlio dei vicini, ad esempio) disponibile per un piccolo compenso a stare con lui per un’oretta, a farlo giocare mentre la mamma fa le faccende.
Cercare di conciliare i bisogni del bambino con quelli personali o della famiglia non è viziare, ma semplicemente ottimizzare le risorse della famiglia. Il bambino avrà comunque occasione di confrontarsi con limiti e costrizioni necessarie (come ad esempio quelle relative alla sua sicurezza o altre esigenze familiari), e la sua educazione avrà luogo comunque, anzi meglio, nella misura in cui lui potrà sentire che, anche se a volte le cose non vanno come vuole lui, la mamma e il papà ci sono comunque e lo sostengono, e comprendono le sue necessità.