Piange, perché? E cosa devo fare?

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Tempo di lettura 4 min

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Un bambino che piange suscita attenzione da parte degli adulti, soprattutto della mamma

Gli adulti non dovrebbero ignorare il pianto di un bambino, il piangere è un segnale di disagio o malessere. La mamma con l’esperienza e l’intuizione può risolvere nel modo migliore.

Un bambino che piange suscita sempre emozioni intense, e l’istinto di accorrere e fare qualcosa. Ci sentiamo impotenti di fronte a questi piccolini che non sanno spiegarci a parole il loro disagio, e non sempre noi genitori riusciamo a capire. Si tratta di un’esperienza terribilmente stressante per una mamma: oltre a soffrirne, spesso  teme di stare facendo qualcosa di sbagliato, e a volte subisce anche critiche e consigli non richiesti. Ma non tutto dipende da lei, e ascoltare il bambino e il proprio istinto, essere vicino a lui, coccolarlo, anche se il pianto continua, è sempre meglio che lasciarlo solo col suo disagio. L’intuizione della mamma e la sua conoscenza del bambino la può guidare a fare, se non l’azione che risolve il problema, almeno ciò che lo fa stare meglio.

I motivi più frequenti per cui un bambino piange sono la fame, il sonno, il bisogno di contatto umano e di attività. Poi vi possono essere innumerevoli altre cause fisiche o psicologiche, molte delle quali fanno parte delle situazioni normali nella vita dei neonati.

Spesso si sente dire che il bambino piange perché “è furbo” e cerca in questo modo di attirare l’attenzione o di ottenere qualcosa, e che occorre educarlo a non comportarsi così. Ma il pianto non è un comportamento in sé, ma il segnale di un disagio e di un bisogno che va compreso, e che spesso è cominciato molto prima che il pianto iniziasse.

Non è educativo lasciar piangere il bambino: il pianto è un’esperienza che pone il bambino in uno stato di stress psicofisico, durante il quale è disorientato e incapace di apprendere. Se il suo pianto non riceve risposta, sperimenterà la frustrazione di non avere alcun effetto sul suo ambiente e sulle persone accanto a lui. A seconda del suo carattere, potrà adattarsi a non chiedere aiuto quando ne ha bisogno, oppure imparare a strillare ancora più forte.

I bambini, come gli adulti, rispondono meglio alla gentilezza che all’essere ignorati. Se si risponde ai bisogni del bambino prima che inizi a piangere, lo si incoraggerà a comunicare in modo più articolato, e questa è la strada che porta poi al linguaggio. Il modo ideale per calmare il bambino è comprendere e andare incontro al suo bisogno. Come genitori, non sempre indoviniamo: procediamo spesso per prove ed errori. Per fortuna, però, quando si scopre che la strategia usata non funziona o crea disagio, è possibile modificare il proprio approccio e recuperare.

Anche senza ben comprendere sul momento, ci sono cose che un genitore può fare come “primo soccorso”. Per prima cosa, prendere il bambino in braccio: spesso questo è sufficiente a calmarlo e permettergli di ritrovare l’equilibrio. Poi si può provare a soddisfare il suo bisogno di nutrimento o di suzione. Non si “vizia” un bambino dandogli a volontà calore, contatto e nutrimento: un accudimento affettuoso e pronto nei primi mesi lo aiuta a costruire la sua sicurezza affettiva e il suo equilibrio, rendendolo maggiormente capace di emanciparsi quando sarà più grande.

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