Mio figlio mi chiama per nome

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Tempo di lettura 3 min

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Può capitare che alle prime parole un bambino, che già da tempo aveva appreso a dire mamma e papà, inizi a chiamare i genitori con il nome di battesimo.

Questo può disorientare, e alcuni genitori si crucciano pensando che il bambino stia in un certo senso perdendo il senso della relazione filiale, quasi trattando i genitori da amici invece che come mamma e papà.

Non c’è invece da dare a questo comportamento del bambino un significato particolare dal punto di vista affettivo. Si tratta piuttosto di fenomeni che accompagnano una fase di grande sperimentazione del linguaggio.

Quando incomincia ad avere maggiore disinvoltura nell’uso delle parole, il bambino è affascinato dai diversi modi in cui gli adulti intorno a lui chiamano una cosa o una persona che pure è sempre la stessa. Così la stessa persona può essere per lui la mamma, per qualcun altro la zia, e per le amiche o la nonna invece è «Maria». E chi parla con lui di sua madre, la chiama «La mamma», con l’articolo. La nonna viene dalla sua mamma chiamata “mamma”, e così via. Tutto questo è molto interessante e il bambino lo sperimenta in prima persona, provando a usare queste parole, guardando se anche questi nuovi nomi “funzionano”.

Ulteriori elementi di confusione e curiosità per il bambino fra i due e i tre anni riguardano ad esempio l’uso dei pronomi personali: La mamma di cui sopra, che si chiama anche Maria, quando parla di se stessa dice «io» e quando lui le parla può chiamarla «tu»: che confusione! Da qui nasce il caso di quella bambina che si infuriava ogni volta che la mamma la imboccava, gridando: «DA TE!!» Ma è quello che sto facendo, si diceva la mamma, finché non ha capito che lei stessa diceva quelle parole quando incoraggiava la bimba a fare da sola, e così sua figlia le ripeteva tali e quali, non avendo ancora compreso come funzionavano i pronomi personali…

Fonte di confusione sono tutte quelle parole che non hanno valore assoluto ma indicano una condizione “relativa”: a un rapporto di parentela, a un punto di vista, a una posizione nello spazio o nel tempo. Parole come “davanti” e “dietro”, oppure “prima” e “dopo”. «Ma oggi è già domani?» Chiedeva un bambino alle prese con questo pasticcio linguistico.

È davvero strabiliante l’abilità con la quale i bambini riescono a sciogliere questo rompicapo e, con un po’ di pratica e soprattutto ascoltando l’uso che gli altri fanno del linguaggio, riescono alla fine ad usare tutti questi “sinonimi” nel modo corretto, adatto alle varie situazioni.

Cosa devono fare i genitori per aiutare lo sviluppo del linguaggio del bambino? Poco o niente, come al solito. Possono rettificare, quando è necessario, l’uso improprio delle parole, ma sempre con molta dolcezza e senza insistere troppo, né mostrare di essere particolarmente preoccupati: il loro bimbo non sta facendo confusione riguardo al ruolo dei genitori o alla sua relazione con loro, sta solo facendo esperimenti con tutte queste parole, usate per indicare la stessa persona… e dopo un po’ si stuferà di chiamare mamma e papà per nome proprio, specie se loro risponderanno molto prontamente al richiamo di “«Mamma» o «Papà» e molto più lentamente quando verranno chiamati «Maria» o «Giuseppe».

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