I rituali della gravidanza

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Tempo di lettura 3 min

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La preparazione al parto tra leggende e verità mediche: è antica, ancora oggi legata a leggende e tradizioni.

La preparazione alla maternità in un certo senso è antica quanto l’umanità. Da sempre le donne in attesa venivano accolte nella cerchia delle donne più anziane ed esperte, che le affiancavano nel percorso delle 40 settimane di gravidanza e le istruivano per il momento del parto e della nascita, secondo credenze e rituali che variavano ampiamente da una società all’altra. Facevano abitualmente parte di questo percorso riti propiziatori, diete particolari composte di cibi vietati e cibi raccomandati (sempre diversi da una cultura all’altra), le pratiche della cura del proprio corpo, una serie di raccomandazioni riguardanti cose da fare o da evitare per proteggere il bambino dagli spiriti maligni e garantirgli la protezione delle forze magiche o divine, e persino prescrizioni relative alla vita di coppia. Al momento del travaglio, poi, spesso la madre veniva condotta in un luogo riservato, dedicato al parto, dove dava alla luce il suo bambino assistita dalle donne “sagge”, le antenate delle moderne levatrici.

Questi rituali, credenze, pratiche sopravvivono anche oggi, seppure razionalizzate spesso da giustificazioni più consone alla cultura moderna. Vere e proprie superstizioni si mescolano a consigli fondati sulle più moderne ricerche mediche ed epidemiologiche, in un groviglio difficilmente districabile. Così la futura mamma in attesa viene comunque sommersa da suggerimenti su cosa mangiare, sullo stile di vita, sugli integratori da assumere, alimenti da evitare; le si suggeriscono un’attività fisica moderata e il divieto di alcuni sport, le si sconsiglia di viaggiare in aereo, e le creme e gli unguenti per il corpo sono in genere un regalo scontato durante i nove mesi. Ancora oggi in molte regioni d’Italia sopravvivono credenze e superstizioni, pratiche di buon augurio (come le scarpette di lana immancabilmente regalate in infinite paia) e pratiche da evitare perché “portano male”, come ad esempio il divieto di comprare la culla prima della nascita. Durante il travaglio, il più delle volte le donne incinte vengono portate in un luogo specificamente dedicato a partorire (il reparto di maternità della clinica o dell’ospedale), dove sono assistite dalle “sagge donne” del mondo moderno, le ostetriche. Alcune pratiche vengono compiute in preparazione al parto, e altre sono messe in atto per accogliere il bambino, il quale appena nato viene, oggi come migliaia di anni fa, sottoposto a una trafila di azioni, alcune delle quali hanno un fondamento medico (esempio le profilassi sanitarie), altre sono retaggio degli antichi rituali, come il bagnetto o la vestizione con la classica “camiciola della salute”, a volte persino tramandata da madre in figlia a questo specifico scopo.

Vuoti rituali del parto? Non proprio. Al di là dell’effettiva fondatezza scientifica di alcune pratiche, questi gesti antichi servono a sancire un importante passaggio nella vita della donna: suggellano la sua transizione da donna a madre, celebrano l’arrivo di un nuovo individuo in seno alla comunità e esprimono il riconoscimento di quest’ultima nei confronti della nuova famiglia, dandogli un segnale di accettazione, sostegno e incoraggiamento.

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